Il canto di Figaro nella maschera di Dart Fener


L’invito a tornare a Valencia per un ciclo di lezioni arriva inatteso quanto sperato, perché il pensiero di tornare nella città di Calatrava mette subito di buon umore, con le sue inconfondibili architetture organiche che esprimono visuali simboliche, ritmi musicali e matematici, con le forme allusive dei ponti che “creano legami” oltre che collegare sponde  –  con tiranti e masse di acciaio sospesi al limite della tensione di un movimento che, come nel Discobolo, sono fermi ma perennemente pronti a liberare tutta l’energia, sintesi sorprendente, in un attimo ideale, di equilibrio e dinamismo.
Non potevi immaginare che c’era tanto ancora da scoprire in un luogo che sembra tutto, o quasi, assorbito nei trecentocinquantamila metri quadrati più futuristici del Pianeta, occupati dalla Città delle Arti e della Scienza, con i suoi spazi visionari nei quali sognare ad occhi spalancati.
La tormentosa dicotomia contemporanea è, pure nei viaggi, sempre presente: superficie e profondità, velocità e lentezza, esterno ed interno. Ma alla seconda visita puoi provare a trasformare le percezioni allentando le aspettative, deviando dalle indicazioni delle guide, sintonizzando il tempo ai ritmi della città.
Puoi allora entrare nelle architetture del Reina Sofía, abitarne gli spazi, le sale concerto, assistere alla prima stagionale delle Nozze di Figaro, assaporare il canto dei tenori che sfiora pareti di legno morbido, comprime volumi avvolgenti, raggiunge i timpani seguendo direzioni prestabilite. Ma anche percorrere gli otto bellissimi chilometri dell’arenile della Malvarrosa insieme agli studenti dell’Università Politecnica che, con il suo avveniristico incubatore di startup, è ad un passo dal mare. E ancora passeggiare per ore nel fiume giardino del Turia che consente di raggiungere ogni luogo del centro con biciclette e monopattini elettrici o mangiare la paella più buona del mondo affacciati sulle rilassanti risaie dell’Albufera e poi immergerti nelle acque cristalline di El Sael con spiagge interminabili puntellate solo da conchiglie avorio e nudisti carbone. E, nella cappella dove è custodito il Santo Gral, cercare di capire dove finisce la Storia e inizia la leggenda e ancora, un isolato dopo, rinfrescarti sotto palme che bucano cavalcavia in architetture sperimentali che trovi disseminate ovunque.
Gli abitanti hanno dato al teatro Reina Sofía l’appellativo di Dart Fener, perché la sera la struttura prende le sembianze del personaggio leggendario di Guerre Stellari. Quello più ambiguo, più combattuto, nel quale bene e male si scontrano continuamente, come spesso accade nelle comunità che abitiamo. E proprio qui, favoriti da una serie di concatenazioni di eventi e disattenzioni, approfittando dell’incanto dei pochi minuti in cui il sole al tramonto bagna il lago fino allo splendido imbarcadero del Puchol, occhi e mani avide rubano carte e soldi, portando via, in pochi minuti, la tua identità e autonomia di cittadino. La brutta disavventura non macchia però la sensazione di tranquillità che hai attraversato per giorni, la sicurezza dei giovani e delle donne che passeggiano e si incontrano a tutte le ore sulle spiagge, nei parchi in penombra, lungo i laghi e i fiumi artificiali della città della scienza perfino in piena notte. Qui hai l’impressione onirica che il futuro disegnato nella Bellezza porti con sé serenità, sorrisi, cose buone e che tutto sia magnificamente connesso: gli uomini e gli animali come le pietre e gli alberi e l’acqua e gli enormi edifici dalle forme animate di pesci, dinosauri, foreste, occhi di titani.
La mattina dopo il furto, il Reina Sofía ha di nuovo la leggerezza del canto di Figaro perchè la tua anima non entra in un portafogli di carta e nessuno può portartela via.

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