Nel primo ministro gli occhi di Harry Potter



Che l’Inghilterra non fosse solo Londra, lo avevi già capito a sedici anni quando, in una splendida quanto amara vacanza studio con buona parte dei compagni di liceo, giocammo a cricket a Manchester, ci perdemmo tra le guglie di Oxford e sentimmo il freddo dell’acqua che raggiungeva le ossa provando a bagnarci nel mare del Nord a fine giugno. Come pure, molti anni dopo, attraversando la Cornovaglia per un convegno in cui presentammo un lavoro su come migliorare la gestione delle reti idriche utilizzando la matematica dei social network, a catturarci non furono le menti brillanti che incontrammo, ma le maree che inghiottivano e rigurgitavano il paesaggio ogni giorno da secoli, le rovine del castello di Artù sulle ripide scogliere di Tintagel e la più grande biosfera al mondo che ospita l’Eden Project.

Questa volta in viaggio da Bath a Cambridge, attraversando le contee del Somerset, del Wiltshire e dell’Essex, provando a condensare al massimo i pensieri come tracciando un diagramma di flusso, ti restano altre immagini forti dietro alle luci abbaglianti della City. Gli sterminati prati di un verde che solo la pioggia incessante e nebulizzata può colorare così intensamente, il fascino senza sole dei canali navigabili che sistemi di chiuse collegano con continuità da Ovest fino ad Est, le villette a schiera tutte uguali come soldati pronti a difendersi dalla prossima invasione (che, qui ne sono certi, arriverà), l’ordine delle cose ognuna maledettamente al suo posto, l’architettura senza sfarzo, le strade veloci che tagliano colline punteggiate da una fauna bianca crudelmente amica del suo carnefice.

Ma non sono i luoghi a segnarti; e come gli sguardi si formano nell’esperienza, nell’esercizio quotidiano delle relazioni, del dolore, delle passioni, così nei ricordi le forme degli umani che popolano queste terre si impressionano con maggiore forza della natura spesso incontaminata o delle costruzioni dai colori rispettosi dei paesaggi agresti o anche delle fascinose terme romane dove, forse per la prima volta, hai la sensazione viva che ci sono state altre Pompei oltre le Alpi.
E’ piuttosto il carattere il protagonista di questa immensa isola; l’orgoglio delle donne indomite dei racconti di Jane Austen – una forza femminile che governa gli uomini da secoli come in nessun altro luogo, l’eleganza dei pregiudizi, la gentilezza invadente, l'austerità nello studio, la competizione accanita nello sport e la fierezza senza tempo che a Cambridge percepisci per le strade che attraversarono poeti, scienziati, artisti immortali.
La stessa fierezza che Joanne Rowling ha dato agli occhi di Herry Potter quando fa volteggiare nell’aria la sua magica bacchetta di agrifoglio. Come se tutto fosse possibile: fermare i Vichinghi, occupare mezzo mondo con le colonie, respingere i nazisti e poi annientarli organizzando il più grande sbarco della Storia, perfino attraversare muri alle stazioni e volare su scope di legno o sotto ombrelli colorati. Una fierezza lucida che sembra non scaldare il cuore, stretta nel grigio che avvolge tutto.

Nello sguardo della first lady di oggi, al di là delle considerazioni politiche, ci sono gli stessi occhi, in qualche modo la stessa fierezza, della Austen, dell’ultimo Scià, della Regina madre, di Churchill e di Potter. Una sola donna sfida un intero continente e qui, tutti quelli che interpelli ora non sono d’accordo, forse non lo sono più come nel 2017.
A cena, la mia collega con la frangia lunga, la pelle rosa punteggiata di lentiggini, l’abito inglese e l’accento di Bristol, mi dice quasi sussurrando: “Brexit… a stupid thing!”. Poi spiega che staremo a vedere, che il Regno Unito è forte, è indipendente. Allora la osservo meglio e nella postura, nello sguardo, sembra il primo ministro. La sensazione è che pure nella confusione che si respira, la democrazia è salda, lo spirito è lo stesso di quando il nemico arrivava dal mare, perfino questa volta che proviene dal cuore del Regno e la May non ha altri incantesimi ancora da fare.

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