Tessaglia. La dolce follia dell’uragano Zorba




Un luogo per guarire le ferite.
Il cielo è coperto in Grecia. Sul monte Pelio fa freddo. Piove a fine settembre. Più a nord, sul Monte Olimpo potrebbe nevicare. Durerà solo qualche giorno, ma hai il tempo di visitare luoghi che altrimenti non sceglieresti nel desiderio senza fine del mare e del sole sulla pelle.

La Tessaglia è una regione magnifica, non solo per la mitologia sulla nascita di Achille, sul vello d’oro che curava le ferite rubato da Giasone e dagli Argonauti o sull’indimenticabile battaglia delle Termopili, ma per i pioppi millenari, i prati di cotone, i castagni con ricci che coprono le strade, le infinite distese di ulivi fino a toccare il golfo ad anello del Pagaseo, che è come un interminabile abbraccio d’acqua, fitto di insenature dentro altre insenature, di approdi protetti, di percorsi e finanche di binari sull’acqua. Tutto a portata di mano. Tutto dolce come il suo clima. 
E poi c’è Meteora, uno dei luoghi può favolosi della Terra, con le sue arenarie che spuntano inattese dal sottosuolo quasi a toccare le nuvole, i monasteri sospesi e le scale a ragnatela come in un racconto di Italo Calvino. 

Le isole sono incantate, ma la Grecia continentale è magnetica con i nomi di strade, città, fiumi che rimandano continuamente all’Iliade e all’Odissea, agli eroi delle imperiture battaglie, ad innumerevoli luoghi e storie simbolo della civiltà occidentale. Sulle pendici isolate delle prospere colline o in una baia con il mare senza onde, hai la sensazione di poterli incontrare tutti quegli uomini valorosi, le loro Muse e gli Dei immortali. E allora pensi, leggendo gli avvenimenti recenti che stiamo vivendo, che forse di eroi e di muse ne avremmo anche noi ancora bisogno.

Nella Terra degli Eoli, non trovi il vello d’oro, ma comprendi come possa anche solo un luogo guarire le ferite. Perfino quelle di Achille.


La dolce follia dell’uragano Zorba.
Nei giorni precedenti le nuvole erano inspiegabilmente immobili. Ignari eravamo già nella perturbazione che avrebbe, di lì a poco, scatenato il più forte uragano mai registrato nella storia del mare nostro. In poche ore, la Grecia piegata in due. Prima Atene, poi le Cicladi, le Sporadi e la Tessaglia. L’eccezionale Medicane (così li chiamano gli hurricane nel Mediterraneo) lo hanno indentificato con il nome Zorba.

Chiusi nelle camere d’albergo tutti i turisti a Skiathos, dove attracchi senza onde in una nebbia surreale prima della tempesta. Nessuno qui è preparato, dopo la Crisi, anche agli uragani. I volti alla reception sono tesi e impauriti: piove dappertutto, anche dai soffitti. Le hall allagate, i ristoranti chiusi, le barche piegate dal vento quasi a ribaltarsi. I villeggianti americani a sfidare la burrasca in infradito perché ci sono oltre dieci centimetri di acqua ovunque e sei zuppo fino alle ossa più di quando, la mattina, eri sott’acqua a sfidare il fondale. Solo il rumore della pioggia e del vento incessanti per giorni. 
E per di più, pure digiuni, per ore interminabili dietro i vetri a guardare il mare che, fino a poche ore prima di Zorba, aveva i colori della Grecia, ora è fango per centinaia di metri. Le spiagge erose come canyon, gli alberi abbattuti dal vento, sabbia mista a terra che cola dalle montagne ovunque.  
Il convegno è rinviato di alcuni giorni. Ma l’elettricità, con qualche sussulto, resiste.

Allora, dopo aver sistemato un po’ gli appunti, le slides, la pronuncia, l’unica cosa che ti resta da fare è vedere il film Zorba, del 1964, con Anthony Quinn in una delle sue più famose interpretazioni, in una Grecia crudele per quanto bella nelle immagini in bianco e nero. E’ un film che crea una musica nuova, il Sirtaki, che resterà nel cuore di una generazione. Sono anni pazzeschi quelli. Gli anni sessanta. Il protagonista, Alexis Zorba, è il simbolo di un ottimismo invincibile, che sa sempre come superare le difficoltà anche dopo le catastrofi, che trasmette una energia contagiosa anche nell’abisso.

E in un film scopri emozioni, luoghi, immagini e momenti bellissimi, come il finale memorabile: “Ti voglio troppo bene per non dirtelo – dice Alexis nella scena finale – tu mister hai tutto meno una cosa: la pazzia. Ci vuole un po’ di pazzia altrimenti non potrai mai strappare la corda ed essere libero”. E l’amico inglese Basil risponde: “Insegnami a ballare”.
E allora capisci che il meteorologo che aveva dato il nome all’uragano era giovane negli anni sessanta, aveva visto il film di Cacoyannis, era ottimista, ballava il Sirtaki e forse pensava come il protagonista di Zorba “è stato un disastro, ma bellissimo” e passerà come ogni altra rovina.
Probabilmente, senza l’uragano, non avresti mai visto il film per la smania di modernità che ci pervade, e scoperto la dolce follia di Zorba.
La tempesta è passata, sembrava non finire mai. Oggi il sole è splendente. Gli alberi immobili e l’aria calda. Il mare è di nuovo limpido come lo è solo in Grecia. 

Sul crinale della Storia come a Salamina.
Arrivi ad Αγία Κυριακή attraversando chilometri di costa isolata a sud di Volo, tra spiagge segrete difese da pini, ulivi e cipressi. È un piccolissimo villaggio di pescatori al termine della penisola del Pelion, frequentato solo da escursionisti, sommozzatori, velisti e viaggiatori indipendenti. Forse anche loro una sorta di moderni centauri che la mitologia racconta vivano sul monte Pelio – l’ultima foresta primaria del Mediterraneo – dove il centauro più saggio e benevolo, Chirone, allevò Achille.
Ad Agia Kyriaki lavorano ancora il legno delle barche con tecniche millenarie. Sul piccolo porto il silenzio è rotto solo dai colpi sordi di un martello sullo scafo di legno in spiaggia e dalle vele tese dal vento dell’imbarcazione che sta attraccando.

In questo luogo isolato i materiali, le cose raccontano la crisi economica più delle parole: vecchie motociclette, frigoriferi obsoleti, piccole barche in vetroresina, cemento rotto fino a mostrare la ruggine, sedili legati con una plastica che oramai non c’è più. Oggetti usurati, gracchianti, penzolanti: ma tutti ancora in funzione. Come i loro utilizzatori, non si sono arresi alla furia tecnologica, ma hanno imparato a resistere, come avessero rallentato il tempo della consunzione integrandosi lentamente nel paesaggio, negli usi, unendosi ai materiali di sempre, al legno delle barche che si ripara, alla canapa delle reti che si rammenda, alle pietre delle antiche case che si ripristinano, al ferro dei pontili che si protegge costantemente con smalti rossi, blu e gialli intensi. “Quindici persone e poco più di una trentina di gatti per fare tutto”, così risponde l’oste sorridendo alla domanda su quanti abitanti ci sono d’inverno.

La Crisi ha interrotto una linea che sembrava retta, ha creato un varco, ora siamo come su uno spartiacque... e gli oggetti in questo luogo di frontiera mostrano più che altrove tale condizione di equilibrio instabile. Anche i viaggiatori, quelli veri, quelli che cercano il silenzio, le pause, la cura, l’autenticità, i dettagli, hanno capito: il mondo di prima, il mondo di domani, e questa terra di mezzo che hanno cominciato ad amare. Un misto di cose dal sapore antico e dal sapore più recente, anche a volte rimaneggiate, niente affatto armoniose. Ma non è essere vintage o ripudiare la tecnologia; non è una moda, è resistere, reagire. E’ sapere di non poter tornare troppo indietro e non volere andare avanti troppo velocemente. E’ imparare a difendere un disordine, ormai pieno di anni, che fa da contraltare a tutto quel postmodernismo di algide sedie nere e tavolini bianchi in plastica, auto roboanti dipinte al titanio, sapori sofisticati come accordi jazz, alberghi di acciaio lucente specchiati nell’acqua, barche in carbonio come missili verso un futuro di felicità promesse nel design “minimale”, nella cucina “master”, nelle residenze “esclusive”, nella connessione “istantanea”.

In un villaggio solitario ai confini della Grecia continentale, ti senti, in un certo senso, come nel golfo di Salamina duemilacinquecento anni prima, di nuovo sul crinale della Storia, perché qualcosa è andato storto, non sanno ancora bene cosa, ma è andato storto. E te ne accorgi anche dai materiali, dagli oggetti, dalle cose; non solo dagli sguardi, dalle parole, dallo spirito.
Questa volta la battaglia, senza troppi giri di parole, è tra i nuovi Dei dell’Efficienza, della Velocità, dell’Utilità, dell’Intrattenimento, dell’Apparenza, del Consumismo, contro gli antichi Dei dell’Arte, della Saggezza, della Conoscenza, della Bellezza, dell’Equilibrio, della Memoria.

A Salamina alcuni dicevano che se la Grecia fosse diventata persiana, il mondo sarebbe stato migliore; nessuno può dirlo. Ma come i troiani, e insieme al manipolo di pescatori di Agia Kyriaki, ci schieriamo con gli ateniesi e i loro Dei anche questa volta. Nè restiamo neutrali.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il Concordato Idrico della Città di Giugliano in Campania

#10 Cose da fare prima di allentare il Lockdown per il COVID-19

SPAZI APERTI