Nomadi dello spazio


Con l’aggettivo olistico si indica la proprietà che ha un sistema di non essere riconducibile alla somma delle sue parti, in altri termini che il tutto è maggiore della somma degli elementi di cui è composto; principio che è a fondamento di tutte le moderne teorie della complessità che ormai sottendono ogni ramo della conoscenza.
E’ infatti indiscussa conquista di questo secolo “l’approccio complesso” allo studio di ogni disciplina del sapere, prima di tutte quella antropologica e sociale: infatti col termine “complessità sociale” si indica sia una proprietà strutturale che una proprietà dinamica di una società.
Nella prima accezione quella “strutturale”, possiamo far esplicito riferimento alla globalizzazione che indica le molteplici relazioni che legano fra loro le varie nazioni e le numerose componenti che formano un sistema di notevole complessità. Nell’accezione “dinamica” del termine invece, un sistema sociale si dirà più o meno complesso in relazione alle possibilità che si hanno di prevederne gli sviluppi e, ancor più, di descriverne, più o meno compiutamente, gli stati.
La nostra società può quindi certamente dirsi olistica e per questa ragione ogni tentativo di definirla risulterebbe inadeguato. 
Le comunità nomadi ci attraggono invece per la loro incredibile semplicità, che pure nell’epoca dei sistemi complessi, risulta essere di notevole interesse.
Naturalmente è fuori da ogni dubbio la superiorità dell’approccio complesso rispetto a quello di tipo semplice o meccanicistico, per il solo fatto almeno che un insieme complesso è notevolmente più grande di quello semplice che né è contenuto.
A tal proposito, per sviare ogni dubbio è sufficiente l’esempio della teoria della relatività di Einstein che contiene interamente la teoria della meccanica classica che rappresenta un approccio più semplice allo stesso problema.
Ciononostante il meccanicismo della vita nomade sorprende e fa riflettere: l’intera esistenza di questi popoli è possibile grazie all’utilizzo di pochi elementi che combinati al limite delle loro capacità hanno dato loro la possibilità di costruire un mondo viaggiante.
La tenda è certamente l’elemento più significativo perché è lo strumento principale che permette loro di muoversi. Oltre a possedere ovviamente una notevole leggerezza, trasportabilità e flessibilità,  si compone di pochi pali di legno e di una tela intessuta di lana di capra facilmente reperibili; in alcuni casi la tenda si trasforma in slitta da neve oppure in zattere per attraversare i fiumi che incontrano nei loro viaggi.
La quantità di cose che il nomade possiede sono limitate e ogni oggetto deve soddisfare quante più funzioni possibile per permettergli di spostarsi più agevolmente; per questo il rapporto tra forma e funzione è ridotto all’essenziale: la forma deve semplicemente rispondere ad un’esigenza.
Tutti gli individui della comunità conoscono i materiali e le tecniche costruttive, perché tutta la loro vita si svolge intorno alla tenda e ognuno di loro può imparare giorno per giorno il funzionamento del proprio mondo.
E’ questa la caratteristica principale di questi popoli: conoscere interamente il loro piccolo mondo che è incredibilmente continuo nelle sue forme: il cammello è nello stesso tempo un mezzo di trasporto veloce, ma fornisce anche latte e carne, la sua lana viene utilizzata per vestirsi, il suo sterco per combustibile e la sua pelle per otri e sandali, infine l’urina di cammello viene usata nei freddi mattini del deserto per lavarsi le mani e i capelli e uccidere i pidocchi e battezzare i neonati.
La nostra complessità, invece, è circondata di ignoranza, noi non conosciamo il nostro mondo: quanti ad esempio sanno i materiali di cui sono composti i moderni computer e sono a conoscenza del loro funzionamento?, quanti ancora conoscono le idee che li hanno fatti nascere e soprattutto le tecniche che li producono? E quanti ancora conoscono il materiale di cui sono fatti i piuomoni sintetici che coprono i nostri letti, le leghe che compongono le nostre auto e l’inchiostro delle penne con le quali scriviamo?
Restiamo disorientati da tale incredibile vortice di oggetti che ci circonda, tanti piccoli tunnel misteriosi tra i quali vaghiamo senza sosta; un universo così estraneo ti apre un vuoto dentro, e crea il timore che le tue azioni producano risultati imprevedibili.
Le nostre città, le nostre case, le nostre abitudini ci proteggono da tutto quanto vi è fuori; ecco perché navigare in Internet è diventato il passatempo preferito di milioni di persone in tutto il pianeta: viaggiare sicuri tra le pareti della propria camera senza timore della complessità e totale imprevedibilità del mondo.
Il nomade, invece, possiede (dal latino “sedersi sopra”) il suo mondo, lo controlla, si sente sicuro perché lo conosce interamente, ed è per questo che riesce a non sentire il bisogno di un luogo dove ritornare ogni volta; il loro “mondo trasportabile” è semplice perciò conoscibile...
Penso allora alla grande sfida del secolo della complessità  di mettere ordine al disordine e a quello che i fisici oggi chiamano entropia; ma la complessità è essa stessa il caos se non procede di pari passo con la diffusione del sapere.
Penso ai tanti film di fantascienza che affollano in questi giorni le sale cinematografiche di tutto il pianeta, “Il quarto elemento”, “Indipendance Day”, “Mars Attacks”, “Nirvana”, e prima ancora “Mad Max”, “Blade Runner”, mondi di grande complessità in cui si viaggia alla velocità della luce, in cui si riproducono esseri umani da semplici eliche di DNA, dove però i problemi di sempre restano insoluti e il disordine sembra regnare incontrollato.
E proprio la fantascienza (?!) proietta il nomadismo nel prossimo millennio: è infatti di questi giorni la notizia che il Presidente degli Stati Uniti ha dato il via al progetto di un viaggio su Marte.
Occorreranno anni di viaggio per compiere l’ambizioso programma e gli uomini dovranno imparare a non pensare continuamente al ritorno a casa.

La serie televisiva “2001: Odissea nello spazio” ha entusiasmato un’intera generazione, Spak e i suoi compagni erano nomadi dello spazio, la loro nave era incredibilmente sofisticata e complessa se preferite, e nonostante ogni membro dell’equipaggio svolgeva un compito specifico, nello stesso tempo tuttavia conosceva il funzionamento dell’intera casa volante; una sensazione di ordine trasmettevano le puntate televisive... e in quella sicurezza riuscivamo a viaggiare senza meta né casa...

(da Uqbar Appunti per il Prossimo Millennio, n. 1, aprile 1998)

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