La vergogna per Liternum



L’articolo Dell’elmo di Scipio pubblicato su La Repubblica lo scorso 26 agosto, ultima tappa del viaggio di Paolo Rumiz sulle orme di Annibale, ha evidenziato l’importanza storico-archeologica del sito di Liternum, in genere identificato come tomba di Scipione l’Africano. 
L’Amministrazione Comunale di Giugliano ha seguito con interesse e con entusiasmo l’intero percorso delineato dal giornalista, cui riconosce il merito di aver posto l’attenzione sulle rovine dell’antica colonia romana la cui fisionomia è stata stravolta da un’intensa, selvaggia, spesso abusiva espansione edilizia. Si tratta di una situazione di allarmante degrado che coinvolge l’intera area e di cui è spia l’insufficienza, se non addirittura l’assenza, di una adeguata segnaletica stradale. 
Eppure nella Tabula Peutingeriana, redatta nel III – IV sec. d.C., Liternum è raffigurata come una località di estrema importanza per le comunicazioni tra Campania e Latium. Da luogo paludoso e malsano, conosciuto dalle fonti antiche come Literna Palus, soggetto per la sua stessa posizione geografica - all’estremità sud del golfo di Gaeta vicino alla foce dell’antico Clanis - all’insabbiamento ed alla conseguente contrazione delle terre coltivabili, Liternum divenne un’importante colonia romana subito dopo le guerre annibaliche. Proprio negli anni in cui Scipione rivestiva per la seconda volta il consolato, la città fu oggetto di una proposta di legge, avanzata  dal tribuno Gaio Attinio, di dedurvi una colonia militare a difesa e potenziamento della costa. Nel 194 a.C. l’invio di trecento famiglie di coloni ne sancì definitivamente l’impianto. I motivi della scelta del sito, che accanto a quello di Volturnum, Puteoli, Buxentum avrebbero dovuto creare una rete di collegamento lungo la costa campana, erano di ordine militare e strategico data la possibilità di raggiungere in tempi veloci sia Capua che Roma. E tuttavia, la fama di Liternum è legata soprattutto alla figura dell’Africano che, allontanatosi da Roma in esilio volontario, in seguito a sospetti e  accuse più o meno esplicite di appropriazione di denaro pubblico, vi trascorse gli ultimi anni di vita. Di qui la tradizione della presenza a Liternum della sua tomba segnalata dal distico del poeta Ennio che sottolineava l’impossibilità di ricompensare in misura adeguata la grandezza dei meriti dell’uomo che aveva liberato l’Italia dal pericolo cartaginese. E la tradizione storiografica successiva concorda nel descrivere con toni amari la vita di Scipione durante l’esilio nella  villa- fortezza di Liternum la cui descrizione, nell’epistola 86 di Seneca,  ne mette in rilievo l’aspetto severo e quasi tetro, espressione dello stile di vita antico caratterizzato da sobrietà e moderazione  in opposizione al degrado contemporaneo. Si trattava, infatti, di una costruzione fatta di pietre quadrate con torri di difesa ed un muro di cinta e con un piccolo bagno oscuro in cui Scipione lavava il sudore del lavoro nei campi.
Liternum divenne, dunque, tristemente famosa per la sua solitudine di sabbia e paludi che fece da scenario agli ultimi momenti della vita di Scipione. Nonostante i gravi problemi di natura idraulica, di smaltimento delle acque fluviali e pluviali, la piccola colonia - come emerge dai resti archeologici - visse oltre che di pesca e di agricoltura, di una produzione artigianale locale legata alla lavorazione del vetro ricavato dall’abbondanza e dall’ottima qualità della sabbia del litorale. L’importanza del sito fu valorizzata nel I sec. d.C. negli anni in cui fu al potere Domiziano quando fu realizzata la via Domitiana - che prende il nome dall’imperatore - in seguito all’ampliamento ed alla pavimentazione del tratto costiero che partiva da Sinouessa e attraverso Volturnum e Liternum si dirigeva verso Cuma culminando a Puteoli. L’opera fu celebrata dal poeta Stazio come espressione della grandezza di Roma che fece del proprio sistema stradale la componente strutturale fondamentale attraverso cui dispiegare il dominio sui territori conquistati, sottratti alla natura selvaggia ed acquisiti all’impero attraverso l’attività dei gromatici e l’imposizione delle pietre milliari. 
Della storia e dell’archeologia di Liternum dal II al IV sec. d.C. si conosce poco: il progressivo impaludamento ed il conseguente abbandono della città ne causarono l’inesorabile declinio seguito dal definitivo abbandono a causa dell’invasione dei Vandali di Genserico che determinò la migrazione della popolazione superstite verso Giugliano. 
Le prime indagini archeologiche condotte a Liternum sono opera di A. Maiuri che vi si dedicò dal 1932 al 1937 con la collaborazione del Regio Ispettore Onorario ai Monumenti Giacomo Chianese.
Dalle rovine, poste sul lato sinistro della circumvallazione esterna, tra l’autostrada ed il lago di Patria, è emerso un importante complesso di edifici. Nel Foro, di forma rettangolare, attraversato da nord a sud dalla via Domitiana, che costituiva il cardine della città, e chiuso su tre lati da un ampio porticato, sorgeva un Tempio di tipo italico ad alto podio che conserva ancora oggi le tracce del primitivo tempio risalente agli anni dell’impianto della colonia. L’edificio era affiancato da altre due costruzioni: la Basilica, dove si svolgeva la vita politica ed amministrativa della colonia, ed il Teatro di modeste dimensioni e forma ellittica i cui resti presentano elementi della summa cavea.
Inoltre, accanto all’abitato di età romana, sono emerse in prossimità della tenuta “Varcaturiello” le tracce di una basilica paleocristiana la cui costruzione, pur in mancanza di una precisa indagine stratigrafica, si data al V sec. a.C.  In essa erano conservati i sepolcri di S. Fortunata e dei suoi fratelli giunti in Campania da Cesarea di Palestina. L’edificio, la cui pianta ne indica l’appartenenza al raro tipo delle basiliche a due absidi, era collocato fuori dalle mura di Liternum, nell’area della principale necropoli della città ed era sorto in un momento in cui la manutenzione della strada romana non era più curato poichè parte del lastricato della Domitiana fu utilizzato come pavimento della chiesa. Il culto della martire è attestato  sul piano epigrafico già dal IV sec. d.C. epoca cui risale anche la pavimentazione in marmo dell’orchestra del teatro per la quale furono riutilizzate iscrizioni di età severiana relative al collegio degli Augustali . L’unica testimonianza letteraria di questo periodo , una lettera di papa Pelagio I, conferma l’esistenza di una comunità cristiana con il suo vescovo ancora nel VI sec. d.C.
È evidente, sulla base di questa rapida rassegna, l’estremo interesse scientifico  di Liternum che non si esaurisce nel semplice ma pure significativo ruolo di seconda patria del vincitore di Zama.
E infatti, l’Amministrazione Comunale di Giugliano, consapevole dell’importanza del sito e sensibile alla necessità della sua salvaguardia,  ha avviato d’intesa con la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, un progetto di recupero e riqualificazione dell’area finalizzato alla creazione del Parco e del Museo Archeologico di Liternum. È inoltre prevista, per una migliore fruizione dell’area da parte di studiosi, turisti o semplici cittadini interessati al recupero ed alla conservazione della propria identità storica e culturale, l’installazione di una nuova segnaletica stradale ed il miglioramento di quella già esistente.
Degli interventi previsti, finanziati con fondi regionali (POR Campania annualità 2000 – 2006) e risorse comunali, l’Amministrazione ha già appaltato i lavori relativi al I e II lotto che riguardano la realizzazione di un parco archeologico, lavori che sono già in fase esecutiva.
Il terzo lotto, di cui al momento è stata solo messa a punto la fase progettuale, è invece relativo alla creazione di un museo archeologico destinato ad accogliere i numerosi reperti rinvenuti che, attraverso un adeguato apparato didascalico, possano essere restituiti ai contesti di provenienza e alle diverse fasi di sviluppo della città. Il museo dovrebbe sorgere su di un’area vincolata come zona archeologica ed occupata al momento da una costruzione abusiva, previa demolizione di quest’ultima. Si tratta di un progetto ambizioso e di vasto respiro che richiede un ingente impiego di risorse umane e finanziarie, oltre che tempi adeguati di realizzazione.
Alla lettura dell’articolo del 26 agosto, dunque, sarebbe stato fin troppo semplice limitarsi ad uno sterile elenco dei luoghi retorici di un mea culpao viceversa, puntare il dito contro chi, in passato, per indifferenza, disinteresse o peggio ancora connivenza ha perpetuato ed aggravato la già di per sé precaria situazione degli scavi di Liternum. La responsabilità e l’impegno dovrebbero essere attitudini diffuse. Per questo motivo le giuste critiche espresse da Paolo Rumiz, per quanto accolte nell’immediato con dispiacere e disappunto, sono diventate, come si spera sia stato nelle intenzioni dell’autore, motivo di parenesi.

Assessore alla Riqualificazione del Territorio
Armando Di Nardo

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