La valle dei templi
Tutti i visitatori della “valle dei templi di
Agrigento”, in Sicilia, sono colti da una duplice sensazione, infatti, giunti
sul posto, restano immediatamente colpiti dal fatto che vi siano solo
rovine : tante pietre coperte di muschio, qualche grosso capitello
consumato dal vento che continuamente accarezza la valle, e poche enormi
colonne stese come se stessero riposando
sul terreno umido...Poi lentamente ognuno prende a camminare tra le rovine e la folla di
visitatori si rompe, si disperde: qualcuno, avvicinatosi ad una colonna,
abbracciando il suo fusto nel tentativo di misurarlo si accorge del suo enorme
diametro; qualcun altro, incuriosito da un grande masso bianco, comincia a
girargli intorno e, a fatica, riconosce le fattezze di un volto reso mostruoso
ed irriconoscibile dalle enormi dimensioni dei lineamenti; un altro ancora
inciampa su un piccolo sasso, si volta indietro per raccoglierlo e lentamente
con un dito comincia a togliere la terra che lo ricopre, si accorge di una levigatura
sottile, precisa, forse è una piccola parte del fregio del tempio grande...
porterà a casa un pezzo di Grecia, o forse semplicemente un sasso...
A pochi chilometri, soltanto, dalla valle che si
apriva sul mare con l’enorme tempio di Zeus, il più grande tempio dorico
dell’antichità, alto più di 30 metri, destinato probabilmente a impressionare i
visitatori con la sua mole, vi sono invece gli impressionanti rottami di alcune costruzioni abbandonate degli anni
cinquanta in cemento armato: mura crepate, travi marcite di ruggine, ferri
irrimediabilmente piegati sporgenti dai pilastri , e dentro mattonelle infrante
e servizi igienici indistruttibili. La differenza con le rovine dei templi è
sconcertante: in questo luogo, ridotto ad uno spazio senza tempo, il cemento è
rotto a spigoli vivi e fa male alle mani, il ferro è divorato dalla ruggine e
tutto quello che simulava unità ora è decomposto, non ne rimane che una
carcassa le cui parti sono sparpagliate ovunque, come pezzi di un giocattolo
rotto ; la sensazione che ne deriva è di decadimento, distruzione , morte.
La natura non accoglierà in sé quei rottami poiché essi le sono estranei e in
fondo nemici. Resteranno lì ancora un po’ e poi scompariranno per sempre.
La durezza del cemento è fatta per resistere alle
sollecitazioni dei carichi, non a quelle del tempo : infatti si deteriora
irrimediabilmente e in meno di duecento anni. E così le nostre case e le nostre
città. Non lasceremo alcuna traccia.
I popoli che edificarono i templi e le piramidi
invece sognarono costruzioni eterne che sarebbero state testimoni del loro
passaggio sulla terra e della loro civiltà. Ma sa-pevano che il tempo avrebbe
trasformato e fors’anche corrotto quelle forme che erano “troppo umane” per
potergli resistere.
La volontà di permanere,
dunque, li indusse a considerarlo come elemento inevitabile e destino stesso
delle loro opere. Ne previdero l’azione, ne mitigarono gli effetti, la loro
attenzione fu volta alla scelta di materiali in grado di durare; il tempo avrebbe levigato, consumato, ma mai
distrutto.
Il passaggio in Grecia dal tempio di legno a quello
di marmo, l’uso fatto a Roma del “mattone eterno” che impercettibilmente nei
secoli ritorna alla terra dalla quale proviene, le grandiosi piramidi egizie
incastonate come cristalli fra le sabbie del deserto, raccontano di quella
precisa volontà, poiché questo essi vollero: imprimere i loro segni nella natura modificandola per sempre.
Quegli uomini che giocavano con le pietre sono ora
sostituiti da grandi imprese edili, le cui costruzioni in cemento armato
dilagano ovunque. Non dureranno a lungo né il materiale che le costituisce cela
il germe della distruzione che gli è connaturato: “caementum” in latino
vuol dire infatti rottame. E tali
diventeranno quegli agglomerati di case e palazzi costruiti in brevissimo tempo
e altrettanto velocemente destinati a sparire.
Le piramidi egizie, al contrario, hanno stancato i
secoli con la loro massa indistruttibile. E mani che non esistono ancora
accarezzeranno le colonne del tempio di Zeus ad Agrigento forse per sempre.
Quelle pietre - pensate come monumenti al tempo -
gli hanno resistito, permettendo alla storia di divenire memoria per gli
uomini e alla natura di riappropriarsi dei suoi materiali dolcemente...
Fili d’erba sono cresciuti fra le rovine, il muschio
ha ricoperto i sassi...
Armando Di Nardo
Antonella Golia
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