La politica attesa


Nei nostri paesi, in questi ultimi anni, è diventato sempre più di moda lo slogan "fare una politica di normale amministrazione"; slogan che sintetizza un discorso più o meno di questo tipo: il nostro territorio, amministrato per anni da politici e amministratori collusi col malaffare, è stato oggetto di speculazioni e particolarismi, nella migliore delle ipotesi è stato abbandonato a se stesso restando quindi tagliato fuori da quelle conquiste di civiltà (scuole ben attrezzate, servizi sociali e culturali, spettacoli, grandi eventi, senso di responsabilità, senso civico e altro) che invece buona parte dei Paesi della Comunità Europea e dell'Italia del nord conoscono da più di trent'anni.
Per recuperare il tempo mal speso allora le Amministrazioni Comunali hanno cominciato dai vetri rotti nelle scuole, dai dipendenti comunali insufficienti, dai rifiuti urbani non raccolti, dai parcheggi in difetto, dalle prostitute agli angoli delle strade, dalle buche nell'asfalto; a tutte queste cose hanno dato il nome di normale amministrazione indicando con l'aggettivo normale, peraltro giustamente, quello che nei comuni del nord Italia e d'Europa hanno raggiunto oramai da molto tempo.
E fin qui tutto bene, le Amministrazioni Comunali oneste si sono distinte per il loro spirito di normalizzazione; poi però lo slogan è diventato propaganda, e in alcuni casi, addirittura una scelta politica, un'ideologia: quella della normale amministrazione.
E' pur vero che per anni sono mancati gli amministratori e la politica ha dovuto sopperire ad un ruolo che non le spettava, perché è compito del politico invece guardare più avanti, programmare, prevenire il futuro e, usando una metafora metropolitana, rifare interamente la strada, risolvendo così il problema alla radice facendola durare anni, e non continuare a tappare buche all'infinito.
Crediamo che i politici che continuano a ripetere di non riuscire a pensare ad altro che alla normale amministrazione tanto è il lavoro da fare, semplicemente si nascondano dietro la loro poca energia, perché se è vero che la situazione delle nostre terre è di grave emergenza, allora non è necessario fare soltanto il necessario, il lavoro di tutti i giorni; occorre lavorare 24 ore al giorno e non bastano le 8 o le 12 di cui parlano, le situazioni di emergenza richiedono sacrifici maggiori, e a chi non se la sente nessuno ha chiesto di occuparsi di tutti noi.
Del resto questa ideologia della normale amministrazione può portarci, nella migliore delle ipotesi, ad una situazione che, proprio come dicevamo poc'anzi, altri comuni hanno già raggiunto trent'anni fa, lasciandoci ancora in una profonda arretratezza di civiltà, di tecnologia e, ancora peggio, di cultura.
Questa "politica" non ci fa compiere il salto che invece è possibile e necessario perché si possa, in qualche anno, riagganciare la democrazia e la modernità, senza far vivere ancora intere generazioni di giovani, che attraverso i mass media ormai conoscono altre forme di esistenza, nella sofferenza della loro condizione di drop-out, tagliati fuori dalla storia del secolo; mentre i loro cugini americani o francesi, nelle università, nei cinema, nei teatri, agli expo, ai concerti vivono il loro tempo, aldilà del fatto che poi può essere brutto o bello, felice o infelice quanto volete, ma almeno vivono la loro Storia.
Invece la logica della normale amministrazione ci taglia fuori, con un circolo vizioso ci ferma trent'anni indietro, senza speranza.
Un circolo vizioso perché le "migliori teste" di questi paesi potrebbero diventare la futura classe dirigente del Mezzogiorno e accelerarne la rinascita sfruttando un naturale fenomeno di amplificazione e risonanza.
Invece senza stimoli intellettuali, senza disponibilità di risorse per lo studio e la ricerca, da qui, dalle nostre città arrovellate tra gli innumerevoli problemi di tutti i giorni, i giovani studiosi sono costretti ad andare via, spronati anche dalle famiglie che ormai, senza più orgoglio e volontà di riscatto, proiettano nei loro figli le delusioni di tanti anni di arretratezza,  alimentando la diaspora del Mezzogiorno d'Italia.
E' questo il motivo per il quale la risposta più ricorrente alla domanda che si rivolge ai giovani sul loro futuro è quella di voler andare via alla ricerca di nuovi orizzonti; a volte è un fuggire che sottende crisi individuali, spesso, crediamo, è invece la mancanza reale di prospettive, e questo è un problema di interesse generale, e dunque, di interesse della politica.
Anche il problema dell'inceneritore, di cui si discute tanto in queste ultime settimane, dimostra la crisi politica delle nostre zone: non possiamo continuare a farci proporre dall'alto soluzioni possibili e non fare altro che criticare.
Siamo perfettamente d'accordo sulla pericolosità dell'inceneritore ma, al di là di questo, perché non si riesce a capire che il ruolo della politica è un ruolo attivo, ed è quello di formulare ipotesi, di cercare soluzioni, e non è un ruolo passivo che sa soltanto reagire, all'idea dell'Aeroporto prima, del Parco Ecologico poi, dell'Inceneritore ora e della Base Nato domani?
Non è fare politica reagire soltanto agli stimoli immediati (e addirittura farsi cadere sulla testa la bomba dell'inceneritore), difendersi volta per volta, ma fare politica significa precorrere i tempi, prevedere le situazioni, con coraggio, rischiando.
Sì questo è il punto fondamentale: avere coraggio. Rischiando di fare scelte impopolari e apparentemente infruttuose, come investire in progetti culturali che possano accelerare il processo di sviluppo attraendo i giovani, che così poi un giorno numerosi potranno sbracciarsi le maniche per le loro città e non per le capitali straniere, come spesso invece accade. Come proporre un progetto alla Regione Campania per lo sviluppo del litorale, oppure proporre un progetto di avanguardia anche sul fronte dei rifiuti con il riciclaggio del trenta per cento.
Invece questa politica dei piccoli passi coglie le Amministrazioni impreparate sui grandi problemi, incapaci di affrontare questioni a lungo termine, disarmate di fronte al futuro perché disabituate a programmarlo.
Ma la responsabilità di tutto questo non è solo dei nostri rappresentanti politici, ma anche della società civile che, perfino etimologicamente, è necessaria alla politica per esistere, per poter "funzionare".
 Polis, città, politéuo, governo, e polites, cittadino hanno tutti la stessa radice poliùs, molti, proprio a voler dire che la politica si fa soltanto se c'è la partecipazione di molti alla vita pubblica, se c'è lo sforzo continuo di tutti a seguire coloro che lavorano per il bene comune e a non abbandonarli quando le scelte sono controcorrente.
Invece si confonde il politico con l'amministratore, che invece deriva dal latino administror, servo; in questo modo si commette un errore grave, che spesso sottende disinteresse e stanchezza, il politico non deve servire e basta, ci deve rappresentare; non deve seguire una strada già segnata, ma ha bisogno delle nostre proposte e dei nostri desideri per poi interpretarli e cercare nuove strade.
Ecco perché nasce lo slogan "politica della normale amministrazione", un patto scellerato tra la politica, poco energica, e i cittadini, molto stanchi; i due termini, politica e amministrazione, usati insieme infiacchiscono il grande valore che la partecipazione ha in ogni processo democratico, ma ci forniscono l'alibi per andare avanti.
Invertire la rotta della "delega punto e basta", che poi diventa "delega alla normale amministrazione" significa cominciare una nuova stagione di piazza, al di là degli interessi dei singoli ai quali l'amministratore ha comunque il dovere di rispondere, di dialogo, di partecipazione, di socialità, di dibattito culturale, che in fondo sono le vere attività che definiscono la politica.


9 Ottobre 1998

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