Trasformare un vuoto in un pieno semplicemente attraversandolo


Abbiamo scritto spesso che il nostro è un viaggio, un viaggio attraverso idee materializzate in città e popoli: dunque come poter dimenticare i nomadi e la loro capacità assolutamente nuova per noi uomini sedentari, di concepire il viaggio e vivere lo spazio?
Nel numero precedente della nostra rivista abbiamo appuntato per il prossimo milennio un'idea, la Lentezza, e abbiamo provato a raccontarla attraverso un popolo, quello giapponese; la prima volta, invece, avevamo fatto il contrario osservando le polis della Grecia e finendo per scrivere dell'Armonia.
Questa volta nomadi e spazio sono venuti insieme intrecciati come sono, quasi a volerci dire che lo spazio senza il movimento continuo di questi uomini perderebbe la sua consistenza, un pò come la storia dell'antica soglia dimenticata che scomparve il giorno in cui nessuno venne più a visitarla.
Viaggio nello spazio fisico, prima di tutto, poi itinerario nella nostra mente: rivoltando cosi il mito di Ulisse, viaggiatore instancabile che arriva ad attraversare le Colonne d'Ercole, che ci accompagna da oltre duemila anni come metafora di un interminabile viaggio nella conoscenza.
Lo spazio dei Tuareg, dei Beduini è essenzialmente il deserto quello che per noi è un susseguirsi di piaghe sabbiose, di isolotti rocciosi, di promontori, di creste, di dune, di orizzonti piatti che pare non si raggiungano mai.
Si è colpiti da questa forme, da queste presenze arcane che si susseguono e paiono preludere a qualche cosa di nuovo e di diverso, ma che in realtà non fanno che ripetersi sempre uguali a se stesse.
Per il viaggiatore sedentario il deserto rappresenta meglio di ogni altra cosa, la monotonia, il vuoto, l'assenza; per i nomadi invece tutto nel deserto e segno e riferimento.
Così che questi popoli con la loro capacità di reinventare tutto ogni volta daccapo possono indicarci forse un modo per combattere la disillusione e l'incredulità del nostro tempo, e con la loro abitudine al vuoto, all'assenza di uno spazio fisso che li rende continuamente disponibili all'avventura, al rischio, allontanarci da qualsiasi forma di stanchezza.
Abbiamo appuntato lo spazio dei nomadi volendo sottolineare che alla nostra conquista di una conoscenza fluida manca ancora l’altrettanto importante capacità fisica di abbandonare le nostre abitudini, e dunque, le nostre certezze.
Perché allora Nomadi “dello spazio"?
Cosa conosciamo di più simile al deserto dello spazio interstellare?
Forse nel millennio dei viaggi interplanetari i nomadi potranno insegnarci a trasformare un vuoto in un pieno semplicemente attraversandolo.

(da "Uqbar Appunti per il Prossimo Millennio", n. 1, aprile 1998)


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